INFO ORARI DI VISITA

Nei giorni d'apertura ordinaria dei Castelli, le installazioni delle mostre INTRAMOENIA EXTRA ART saranno attive e fruibili dalle ore 10.00 alle ore 18.00
(esclusa la Fortezza di Lucera aperta dalle ore 8.00 alle ore 14, ingresso libero).

Percorso consigliato:
Fortezza di Lucera (mattina), Castello di Monte Sant'Angelo, Castello di Manfredonia (a seguire).

Per prenotazioni visite ed informazioni contattare le guide

Fortezza di Lucera:
Anna Carrozza gsm.  308 7122570
Castello di Manfredonia:
Giuseppe Milonia gsm. 338 5616292
Castello di Monte Sant'Angelo: 
Ecogargano infoline 0884565444

Luoghi dell'esposizione:
FORTEZZA SVEVO - ANGIOINA DI LUCERA
CASTELLO SVEVO - ANGIOINO DI MANFREDONIA
CASTELLO NORMANNO - ANGIOINO - ARAGONESE DI MONTE SANT'ANGELO

Scarica l'allegato per saperne di più su come raggiungere i luoghi dell'esposizione

 

LUCERA, antica colonia romana, elevata da Costantino a capoluogo di Puglia e Calabria, fu trasformata in piazzaforte da Federico II di Svevia che vi trasferì migliaia di Saraceni. Ripopolata con coloni provenzali e munita di fortificazioni sotto il dominio angioino: nel 1300 Carlo II d'Angiò - re di Napoli e di Sicilia - non sopportando la presenza di un'isola araba nel suo regno cristiano, assediò la città, sterminando i saraceni e cancellando i segni della loro civiltà. Della fortezza restano le fondamenta del Palatium federiciano e la cinta muraria angioina, in laterizi e mattoni, dalle dimensioni immense, dominata da una possente TORRE in pietra detta della DELLA LEONESSA o DELLA REGINA.

Nella Torre della Regina è collocata l'opera "Tredici" di Dino Innocente, dal forte significato concettuale, un'installazione ispirata all'imbrigliamento delle libertà individuali, e all'aperto, sotto le mura, interviene Maria Teresa Hincapie con "El espacio se mueve despacio", l'opera ammirata alla 51 Biennale di Venezia: tempo presente e storia passata, tradizioni ed usanze religiose, frenesia all'occidentale e tempi rallentati dalla filosofia di vita orientale, scorrono nell'intervento di danza, musica e video della performer colombiana: dopo l'inaugurazione, il video -girato all'interno della fortezza di Lucera - permarrà in mostra nella Torre della Regina.

MANFREDONIA trae il suo nome dal fondatore svevo Manfredi che vi trasferì la popolazione della vicina Siponto, dopo le incursioni saracene ed un violento terremoto. Sede vescovile Sipontina, venne fortificata e ribattezzata da Carlo I d'Angiò "Sipontum Novellum". Resistette valorosamente a incursioni e saccheggi, al progressivo impaludamento del Tavoliere finchè nel 600 fu incendiata dai Turchi. A partire dall'Ottocento fu interessata da piani di bonifica che favorirono lo sviluppo della città. Nel secondo Dopoguerra il processo di industrializzazione culminò con l'insediamento di un grande stabilimento petrolchimico, con quasi 500 dipendenti, nella seconda metà degli anni Sessanta: un consistente bracciantato agricolo si riversò in città e centinaia di artigiani e pescatori si trasformarono in operai, i "metalbraccianti". La crisi dell'industria di Stato, specie quella della chimica, alla fine degli anni '90 ha portato ad un travagliato processo di riconversione industriale con l'intervento di gruppi privati e di istituzioni pubbliche.
Nel Castello svevo-angioino - aragonese - che ospita il Museo Nazionale Archeologico, con le funerarie Stele Daunie, preziose testimonianze di un'avanzata civiltà del VII-VI sec. a.c. - l'anima industriale di Manfredonia è riletta in chiave onirica da Botto e Bruno con l'installazione, nella piazza d'armi, "A concret town" cui fa da contraltare l'eterea bellezza dell'opera in vetro di Luigi Ontani, invitato nell'ottica della riconversione industriale del polo petrolchimico in riva al mare in industria vetraria. E parla del Mediterraneo il progetto di Pietro Caporosso, che si muove tra pittura ed installazione, ispirato ai nostri paesaggi ma anche al lavoro dell'uomo ed alle tradizioni storiche e culturali, oltre che iconografiche, concetto approfondito anche dall'artista balcanico Braco Demitrijevic.

MONTE SANT'ANGELO Dal Golfo di Manfredonia, si sale a 796 metri per giungere a Monte Sant'Angelo, toponimo legato all'apparizione di San Michele Arcangelo nel V secolo, l'angelico archistratega. A lungo contesa da Bizantini, Longobardi, Saraceni e Normanni, dall'XI secolo con il suo Santuario Micaelico, insieme a San Nicola a Bari, è inserita nelle vie dei pellegrinaggi europei, quali la via Sacra Langobardorum e la via Francigena; fin dal Mille divenne avamposto della Chiesa di rito latino contro i Bizantini, tappa obbligata di pellegrini e crociati, di religiosi e sovrani. Occupata dagli Angioini e passata sotto il dominio degli Aragonesi, divenne feudo di Giorgio Castriota Scanderbeg, di Fernandez de Cordoba e, dal 1552, della famiglia genovese dei Grimaldi. Dopo una grave depressione che ha provocato una forte emigrazione, dalla seconda metà degli anni Novanta, la costituzione del Parco Nazionale del Gargano e la reindustrializzazione dell'area di Manfredonia ne hanno favorito una lenta ripresa, insieme al turismo religioso di cui costituisce un meta con la vicina San Giovanni Rotondo.

Il castello costruito da Orso, vescovo di Benevento, nell'838, venne rimaneggiato dai Normanni e quindi da Federico II per ospitarvi l'ultima moglie, Bianca Lancia, che qui si diede la morte. Prigione di stato per gli angioini, ritornò ai suoi fasti con gli aragonesi. Spaventose leggende ammantano il castello dalla tetra struttura, con le mura perimetrali ridotte a ruderi: vi veleggia un senso di cupezza, perfetto per accogliere Jan Fabre con il progetto "I messaggeri decapitati della morte", sculture, video e disegni che riecheggiano fantasiosi mondi medievali e l'opera di Pino Pipoli dal titolo "Grand tour". Nei sotteranei del castello un viaggio tra passato colto e presente crudo.