L’OPERA:
Ada Costa.
Senza chiaroscuri, 2009
Installazione ambientale 12 elementi in vetro, costituiti da parallelepipedi e semicicli modulari assemblati; dimensioni varie

 

Inaugurazione

mercoledì 22 aprile, h 18.00
Bari, Sala Murat

 

Una legge SENZACHIAROSCURI. » quella promulgata in Puglia sulla trasparenza nelle amministrazioni pubbliche

Uno strumento insolito per diffondere la conoscenza di una legge sulla Trasparenza, promulgata dall’assessorato omonimo, le sculture concettuali in vetro di Ada Costa, matura artista pugliese: a lei è stata data la libertà di evocare i concetti di fondamentali espressi dalle norme, ovvero informazione, legalità, responsabilità, innovazione, partecipazione, etica. Un’idea di duplice lettura, sintetizzata dalla curatrice Giusy Caroppo nel titolo, attinente sia alla peculiarità dei materiali usati, che alla mission della legge. L’installazione modulare sarà composta da elementi in vetro ed effetti di luce; disposta lungo tutto il corpo della sala Murat, dialogherà con il wall drowing permanente di Soll LeWitt e sarà arricchita dal sonoro del musicista sperimentale EraSer, già evidenziatosi nel progetto “Il Terzo Paradiso: Mama Free style Music”.

 

NOTE BIOGRAFICHE:
ADA COSTA inizia la sua avventura visiva negli anni ’70, utilizzando un linguaggio informale. L’alfabeto visivo Ë inizialmente costituito da linee pure -orizzontali, verticali, diagonali - segni evoluti successivamente in moduli, spesso disposti a spirale. Durante gli anni ’80 trova nel “cerchio” il suo segno forte: l’elemento sferico diviene base per colonne e semicolonne con cui interagiscono equivoci visivi e ambigui giochi di rifrazione, trafitti o solo sfiorati da raggi laser di colore rosso. Sarà il vetro il materiale ideale per le sue installazioni, ripetuto in forme geometriche primarie, in particolare con l’iterazione del quadrato o del cubo, per sculture intese come “situazioni” più che come “forma”, alle quali accompagna l’elemento immateriale e vitale della luce.

Mostra e testo a cura di Giusy Caroppo

“Art as Idea as Idea”: arte come l’idea di un’idea. Lo affermava Joseph Kosuth, pioniere dell’arte concettuale e installativa, mentre Sol LeWitt portava la riduzione della forma ai suoi termini minimali, mantenendo tuttavia una stretta relazione tra gli elementi dell’opera. Ada Costa incontra Sol Lewit negli anni ’70, durante una conferenza-spettacolo da Marilena Bonomo a Bari, per poi assistere alla composizione di segni neri di matita su un muro, bianco d’intonaco, a Spoleto. Indaga queste ricerche parallelamente a quella di Giulio Paolini, folgorata - sempre a Bari - dall’opera/performance “Omero”; ed ancora, ascolta la fascinazione minimale delle unità geometriche elementari di produzione industriale di Carl Andre e soprattutto assimila le associazioni narrative di John Baldessari. Ada Costa nasce figlia di questi presupposti teorici, muovendo da un’idea estremamente chiara, limpida; e la concretizza utilizzando un materiale la cui percezione volumetrica e sostanziale Ë vicina all’immaterialità mentale dell’idea: IL VETRO. Per lei, inoltre, come per Max Bense, ''l'opera d'arte viene concepita come informazione. O pi_ precisamente come supporto di una particolare informazione: l'informazione estetica…” Un’informazione costituita di segni che a loro volta costituiscono insiemi, siano essi strutture o configurazioni, per un’informazione estetica a carattere strutturale o configurazionale, “gestaltico”.

» attraverso queste peregrinazioni teoriche, questi capisaldi, che il concetto di “trasparenza” - l’ “idea” - si trasfigura nell’opera installativa di Ada Costa e si fa “informazione”: rappresenta, sceglie, allude, indica, relaziona settori diversi mediante allusioni intuitive e segniche, che appartengono alla sua storia ma sono comunque e sempre riconoscibili da chiunque.

Genera una volumetria complessa che è sostanzialmente SENZACHIAROSCURI per la peculiarità del materiale usato, attraversabile dalla luce cui non fa schermo, ma soprattutto perchè comprensibile grazie all’essenzialità delle forme elementari che riproduce, per l’universale intelligibilità del messaggio.

Lo spazio è concepito come fattore essenziale dell’opera, occupato secondo uno sviluppo longitudinale con una scultura effimera che se ne appropria con discrezione, sposandosi al bianco totale dell’ambiente, e insieme mostra la sua imponenza.
In corrispondenza di ogni varco della lunga parete di fronte gli accessi, in contrasto con le mura antiche, Ada Costa erge sei muri monumentali, costruiti con grandi mattoni modulari trasparenti; lungo la spina dorsale della sala colloca sei sostanziali “episodi”: LA SCALA, LA PANCHINA, IL POZZO, I CORPI VESTITI DI ROSSO, LA PIRAMIDE, IL GIARDINO DI LUCE.

» un dialogo sottile con i concetti fondamentali di informazione, legalità, responsabilità, innovazione, etica e – soprattutto - partecipazione: sarà l’astante a fare l’opera con la sua visione e lettura soggettiva, seguendo la sollecitazione attenta dell’artista.

» un’opera che vive del linguaggio evocativo che è proprio di Ada Costa: sono “sue” le icone strutturali e nude di natura geometrica, sono “suoi” i frammenti di specchi che sfondano lo spazio generando meraviglia, come “suoi” sono i purpurei raggi laser che misurano le dimensioni e congiungono la terra al cielo, sempre suoi gli emicicli che concorrono a formare un luminoso giardino ideale, fiorito ai piedi del dinamico e solare wall drowing permanente di Soll LeWitt: qui sotto la contemporaneità è siglata dalle sonorità interattive di EraSer, ispirate al circuit bending, suoni elettronici appena percettibili nell'immenso paesaggio sonoro, modulati secondo intense linee melodiche.

Nella e dalla sala Murat, è così che l’opera di Ada Costa vuole sincronizzarsi con la realtà della vita.

GIUSY CAROPPO

 

 
 

 

Ufficio Stampa:
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Organizzazione:
Assessorato alla Trasparenza e Cittadinanza Attiva della Regione Puglia